Qualche settimana prima di natale, c’è un rito che chiunque di noi fa da sempre. Prima di noi i nostri genitori e, prima di loro, i loro genitori e così via… entrare in una bottega alimentare, in un panificio o pasticceria e cercare con lo sguardo le torri interminabili di scatole colorate con i diversi gusti: classico (come da tradizione), con varie creme (limone, cioccolato, pistacchio, ecc.), con gocce di cioccolato o frutti di bosco. Sì, stiamo parlando del Panettone. Se vi siete chiesti da dove venga tale prelibatezza vi basti sapere che esistono non una, non due, ma ben tre leggende che raccontano la sua origine. Partiamo dalla prima, ci troviamo nella corte di Ludovico Maria Sforza, signore di Milano, l’anno è il 1495 e ci si trova ovviamente alla vigilia di Natale.
Tutta la corte si è riunita per festeggiare, lauti banchetti vengono serviti, nelle cucine la frenesia regna ed il capo cuoco troppo indaffarato chiede allo sguattero di turno, tale Toni, di controllare la cottura delle ciambelline fritte, che dopo poco sarebbero state servite come dolce. Il povero Toni, sfinito dal lavoro, si addormentò e le ciambelline finirono per bruciarsi tutte quante. Lo sguattero non si perse d’animo e si ricordò del dolce improvvisato con gli amici poco prima: l’impasto delle ciambelline avanzato a cui aggiunse solo uova, burro, canditi e uvetta. Non avendo nulla da perdere lo preparò. Al capocuoco, inizialmente scettico, bastò sentire l’odore in cottura per accettare la sfida. La Duchessa e tutti i commensali, Duca di Milano compreso, apprezzarono subito la novità e da quel momento il dolce prese il nome di “pan de toni”; dal dialetto meneghino nei secoli si è trasformato in “panettone”.
Il secondo racconto, più romantico, ci riporta alla stessa epoca rinascimentale del precedente. Il giovane Ughetto, figlio di un signorotto di nome Giacomo Atellani, s’innamorò perdutamente della figlia di un fornaio in declino. La differenza di classi sociali fra i due, tuttavia, non permetteva il suggellarsi del loro amore. Ma il giovane Ughetto non si perse d’animo, così si fece assumere sotto falsa identità nella bottega del futuro suocero e cominciò a lavorare per lui, impegnandosi per risollevare le sorti del forno. Nel nuovo pane con burro e zucchero aggiunse uova, pezzi di cedro e uva sultanina. Il successo del “pangrande” permise ai due innamorati di sposarsi per vivere felici e contenti. L’ultima leggenda è quella meno conosciuta. Si narra che una certa suor Ughetta per rallegrare il Natale delle consorelle, con le quali abitava in un convento molto povero, decise di aggiungere all’impasto del pane alcuni ingredienti: zucchero, uova, burro e pezzettini di cedro candito. La lievitazione fu un vero miracolo! Tutti volevano il “pane grande delle monachelle”, così da cambiare le sorti del convento.
La Redazione